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MITOLOGIA CELTICA / Il cinghiale bianco



Prima dell’arrivo del Cristianesimo, alcuni animali venivano considerati portavoci della dimensione sacra. Potevano presentarsi come guide, doni del divino o indicatori di eventi che stanno per manifestarsi. In Irlanda e Scozia le leggende ci raccontano di un magnifico Salmone della Conoscenza, fortunatissimo colui che lo pesca e se ne ciba. Il cervo rappresentava l'orgoglio e la indipendenza, mentre il corvo l'intelligenza. I druidi - come gli aruspici romani - avrebbero ottenuto preziose indicazioni sul futuro interpretando il volo degli uccelli. Poi, con l’avvento del monoteismo, queste credenze scomparvero. In Scozia il rapporto con gli animali invece rimase a lungo collegato col divino, in quanto i druidi, ovvero gli interpreti delle volonta’ divine, continuarono ad operare fino all’ottavo secolo dopo Cristo, in certe zone remote della Scozia dove il Cristianesimo non arrivava facilmente ad attecchire.

Per la casta sacerdotale druidica l’emblema del cinghiale era intimamente collegato con il dio della Luce, Lugh; consideravano il cinghiale come l’incarnazione del potere spirituale. L’apparizione di un cinghiale bianco significava un imminente incontro straordinario o una scoperta di un luogo misterioso. Eventi di rinnovamento e svolta spirituale.


Lo apprendiamo dalle letture delle saghe gallesi che ci danno una chiave di lettura di cosa succedeva nell’intera isola Britannica. Scopriamo che i suini sono un dono dell’aldilà – detta Annwn - e non ritenuti indigeni del nostro pianeta. Sono simboli del cibo, la carne di cinghiale era la più ricercata per i banchetti. La caccia al cinghiale era un’attività per gli uomini più intrepidi, che lo temevano e rispettavano, coscienti della sua forza e velocità, che avrebbe innervosito pure i lupi.


Oltre a simboleggiare il potere spirituale il cinghiale compariva anche nelle insegne di guerra. Diventa anche animale-totemico, simbolo condiviso da gruppi combattenti, i celti indossavano amuleti con raffigurazioni di cinghiali ed altri animali sacri con la speranza che le qualità di forza e coraggio venissero conferite a chi li indossava. Nello stemma del clan Campbell, uno dei clan piu’ antichi e conosciuti in Scozia, compare una testa di cinghiale e il motto “Ne Obliviscaris”: non dimenticate che noi siamo i temibili Campbell.


Con i secoli il cinghiale venne a identificare il divino femminile. In particolare, Ceridwen (pronuncia: cherid-uen), dea della rinascita, trasformazione e ispirazione, veniva raffigurata con un calderone e un maiale. E’ la dea delle pozioni, la Signora delle trasformazione dell’evoluzione, ispirava a bere la pozione per trasformare e rinnovare la persona interiormente ed esternamente.




Ci appare chiaro e nello stesso tempo affascinante il riferimento alla mitologia celtica di Franco Battiato nell’Era del Cinghiale Bianco, canzone del 1979 contenuta nell’onomino album: una speranza di rinnovamento spirituale sociale, un’era che dischiuda la coscienza collettiva. Nel ritornello, si nasconde un desiderio di trasformazione, di un ritorno ad una condizione perduta, ad una nuova epoca di consapevolezza e forza interiore.


Il cantautore siciliano, in un'intervista, disse di aver voluto fare riferimento alla mitologia celtica, ma e’ anche vero che nel 1978, un anno prima della pubblicazione dell’album, un Cinghiale Bianco ancor piu’ esotico gli venne consegnato dalle mani del figlio di Giusto Pio, suo storico collaboratore e compositore. Stefano Pio ci racconta nel suo libro “Uno sguardo dal ponte” (Antiga Edizioni) che “al ritorno del mio viaggio in India, non avendo piu’ soldi, portai in regalo delle colorate cartoline mitologiche raffiguguranti il pantheon delle divinita’ induiste. I miei amici scelsero per primi le piu’ belle e a Franco resto’ in regalo l’ultima, quella che tutti avevano scartato: ritraeva Varaha, il Cinghiale Bianco.

Ovvero una delle incarnazioni della dea induista Vishnu.




 
 
 

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